In esclusiva per Pit’s pit – Lafossa di Pit, un brano estratto da “Secondo Matteo”, il libro di Matteo
Salvini, uscito in questi giorni nelle librerie:
Perché ho deciso di fare il
politico? Per poter dedicare la mia vita a combattere le ingiustizie. Odio
profondamente l’ingiustizia. E ricordo ancora il momento esatto in cui questo
sentimento si è reso esplicito in me. Ero giovane. Nella mia bella Padania,
seduto su una poltrona – come avrei fatto per il resto della mia vita –, con il
fuoco ai piedi e la neve fuori dalle vetrate, guardavo un documentario sulle
popolazioni africane. Io, ben vestito e in una bella casa, e loro, senza un
tetto e completamente nudi. Ed è lì che ho conosciuto l’ingiustizia del mondo:
avevano il pene troppo più grosso. Così decisi che la mia missione sarebbe
stata la redistribuzione della giustizia sociale. È chiaro che non avrei potuto
intervenire sull’organo in questione: troppo truce, troppo nazionalsocialista.
Non mi voterebbero. Allora capii che per riequilibrare il mondo avrei dovuto
trovare un’altra strada. Conobbi la Lega, che parlava di superiorità della
nostra etnia. Così ebbi l’illuminazione: trasformarli in nemici. Del resto, ora
va di moda il vintage: c’è chi ascolta Cab Calloway e chi trasforma etnie
straniere in nemici. Tutta roba anni trenta. Il pene, comunque, non è mai stato
un problema per me: ho avuto molte donne che hanno riconosciuto i miei meriti. Ricorderete,
ad esempio, che la Isoardi dichiarò “Sto con Salvini perché degli uomini mi
piace il cervello”. E un’altra volta, in privato, mi disse “Ce l’hai tanto
grosso quanto sei intelligente”. All’epoca lo presi come un complimento. Poi
però, quando se ne andò, mi disse “Ti lascio perché sei un completo imbecille”.
So che sulla questione del pene potrei
essere frainteso. Qualcuno potrebbe scambiarla per invidia. Ma si tratta solo di
giustizia: ad esempio, non ho quasi nulla contro i mulatti perché, essendo un
incrocio, ce l’hanno di poco più grande dei bianchi. E non ho assolutamente
nulla contro i cinesi, anzi! Vorrei che ne venissero sempre di più in Italia. E
che qualcuno di loro, magari, si decidesse ad acquistare il Milan, che
Berlusconi sta portando allo sfascio. Come sta portando allo sfascio il centro-destra,
che, invece, prenderò in mano io. Ho qualcosa in comune con i cinesi.
Qualcos’altro, almeno. Sì, nei miei sogni i cinesi strappano il Milan a
Berlusconi e io gli strappo la leadership del centro-destra. Nei miei sogni vedo
Berlusconi perdere tutto. Perché odio tanto Berlusconi? Non lo so con
precisione. Ma so che questo sentimento nei suoi confronti è nato quella volta
che urinammo insieme.
Ho qualcos’altro ancora in comune
con i cinesi: qualche tempo fa mi sono definito “comunista vecchio stampo”. Mi
riferivo alla mia lotta per la giustizia sociale, strettamente connessa ad una
difesa e un primato della nazione. Del comunismo, infatti, rifiuto
l’internazionalismo, la fine dei confini statali. Probabilmente, sono più
propriamente un socialista nazionale, sperando che nessuno si ricordi la
contrazione storica di questi due termini. È vero che inizialmente ero per
l’indipendenza della Padania. Ma all’epoca ero giovane e non puntavo alla
leadership e al governo. E l’ambizione politica ti porta all’opportunismo. Noi
leghisti, del resto, conosciamo l’arte dell’adattarsi: anti-casta, poi casta;
denunciatori di ruberie, poi noi stessi approfittatori. Da questo punto di
vista, noi leghisti siamo dei veri socialisti. Craxiani, ma pur sempre
socialisti.